ERNEST BIÉLER. Realtà sognata

Martigny, Fondation Pierre Gianadda (Rue du Forum 59 - 1920 Martigny - Svizzera)
1 dicembre 2011 - 26 febbraio 2012

Informazioni : 0041.27.7223978 (in Italia : 031.269393)
Sito internet: www.gianadda.ch

La Fondation Pierre Gianadda in collaborazione con il Kunstmuseum di Berna presenta a partire dall’1 dicembre una grande retrospettiva dell’opera del pittore Ernest Biéler (1863-1948). Le due istituzioni rinnovano così i legami già stretti che le contraddistinguono e inseriscono questa mostra fra quelle dedicate ai grandi pittori svizzeri. Per la Fondation Pierre Gianadda in particolare, dopo la mostra del 2006/2007 sull’opera di Edouard Vallet, è questa l’occasione di svelare al pubblico il lavoro di un altro pittore vallesano d’adozione.

Biéler ha risieduto a Savièse dove ha dipinto le sue famose teste, come quella del Joyeux mendiant (1910), ma anche le feste, le tradizioni e i paesaggi locali. Certo la sua opera non può essere ridotta ai soggetti vallesani, perché ciò significherebbe dimenticare che l’artista possiede una formazione e una cultura solide che l’hanno condotto a sperimentare differenti stili e a trattare svariati temi.
Ernest Biéler è nato nel 1863 a Rolle in una famiglia numerosa e borghese. Ha trascorso la sua infanzia a Losanna e nel 1880 decide di andare a Parigi dove frequenta l’Académie Julian. Pur ritornando ogni tanto in Svizzera e in particolare in Vallese dove il pittore Raphael Ritz aveva sollecitato l’interesse del giovane pittore per il comune di Savièse, Biéler tenta di fare carriera a Parigi, espone al Salon ma l’attenzione che gli riserva il pubblico non lo soddisfa e nel 1892, a corto di mezzi finanziari, ritorna in Svizzera. Anche se tornerà ancora nella capitale francese, a volte per lunghi periodi, è in Svizzera che otterrà delle commissioni come quella del 1893 per la decorazione del soffitto della Victoria Hall di Ginevra. Il suo stile è allora ancora fortemente segnato dall’art nouveau, eredità della sua formazione parigina. Sempre sotto gli influssi delle grandi correnti internazionali, esegue in seguito imponenti composizioni simboliste come Les Feuilles mortes (1899), un dipinto dal formato allungato e monumentale, dalla composizione nello stesso tempo dinamica e simmetrica che evoca l’autunno con una malinconia lirica. Con riferimento alla stagione, i colori caldi si accompagnano a toni declinati sul giallo e sul bruno. Le foglie sono assimilate a personaggi femminili in cui si mescolano realtà e allegoria. Esposto al Salon de Paris del 1899, Les Feuilles mortes fa sensazione e la critica ne fa un elogio. Lo esporrà nuovamente nel 1900 all’Espozione Universale assieme a  Source, altra opera simbolista. A partire da questa data è sempre più frequentemente a Savièse dove fa costruire un atelier. Il suo definitivo approdo nel Vallese, corrisponde a un momento particolare della storia dell’arte. In tutta Europa l’industrializzazione del XIX secolo è accompagnata da profondi cambiamenti. In questo tempo gli artisti prendono coscienza delle conseguenze negative del passaggio dalla società contadina a quella industriale e sviluppano una riflessione che privilegia valori dimenticati e armonia tra l’uomo e la natura. In Svizzera gli artisti si ritirano sulle Alpi: Giovanni Segantini e Giovanni Giacometti in Engadina.  Ernest Biéler,  Edmond Bille, Edouard Vallé o, ancora, Charles-Clos Olsommer in Vallese. A contatto con gli abitanti di Savièse e della sua regione, le sorgenti di ispirazione e lo stile di Biéler mutano. Le opere diventano meno intellettuali, ispirate direttamente dalla vita quotidiana del villaggio.  Il suo stile si modifica e di conseguenza si fa meno delicato e più realista, fatto questo che porterà la critica ad accostare la sua opera Les vieux à l’enterrement (1901) a l’ Enterrement à Ornans di Gustave Courbet.  L’artista sembra cosciente che la sua strada è altrove e verso il 1905/1906 si muove verso uno stile più raffinato, estremamente grafico che contribuirà al suo successo. Esegue allora all’acquerello una serie di ritratti «di un vigore tale, di una robusta definizione che si potrebbero scambiare per delle xilografie a colori». Questo nuovo genere trova subito degli amatori e musei e privati acquistano le sue opere. Incoraggiato dal successo, l’artista partecipa a numerose mostre e sente di nuovo il bisogno di opere monumentali. Esegue allora dipinti di maggior formato, come Deux jeunes Saviésannes tissant (1923). L’apprezzamento per la pittura da cavalletto è presto accompagnata da riconoscimenti ufficiali. Tra 1914 e 1922 ottiene degli incarichi per la realizzazione di tre affreschi: nella cappella di Tell a Losanna, nel vestibolo del Musée Jenisch a Vevey e nell’Hotel de la ville a Locle. Un confronto fra questi affreschi realizzati nel corso di nove anni mostrano che Biéler non ha mai smesso di evolversi verso uno stile più decorativo. Sarà nuovamente questa tecnica dell’affresco a far sviluppare ulteriormente il suo linguaggio verso uno stile più sintetico che dà meno importanza ai particolari. Biéler viene incaricato della realizzazione dei costumi e delle scene della Fête des Vignerons del 1927 a Vevey. Nel suo atelier di Montellier-sur Rivaz, che strapiomba sul lago Lemano, vengono organizzate mostre dei suoi quadri. Egli trova nei paesaggi del Lavaux una nuova sorgente d’ispirazione ed esegue allora alcune vedute del lago, spesso dall’alto, dalle tonalità brune che danno agli effetti di luce un rilievo particolare. Biéler, protestante e relativamente indifferente alle questioni religiose, si vede affidare nel 1933 l’esecuzione delle vetrate, della via Crucis e della decorazione della chiesa di Saint-Germain. Questo incarico gli consente di realizzare un’opera d’arte totale che comprende oltre quaranta vetrate e quattordici stazioni della via Crucis in mosaico. In questi  anni, oltre ai paesaggi di Lavaux e di Venezia, l’artista continua a realizzare soggetti vallesani, ma non ha nuovi spunti. Biéler muore nel 1948, poco prima del suo 85° compleanno, lasciando un’opera estremamente ricca e varia.
La mostra, curata da Matthias Frahner, direttore del Kunstmuseum di Berna, e da Ethel Mathier, si propone di ricostruire tutto questo percorso attraverso oltre 120 opere provenienti sia da raccolte pubbliche che private. Non c’è dubbio che il visitatore sarà sorpreso dalla varietà della sua opera, sia dal punto di vista stilistico che tematico. L’artista cesserà di essere visto come il pittore del folclore vallesano, anche se è senza dubbio su questo versante che si ritrova l’aspetto più originale della sua produzione.La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue riccamente illustrato che ripercorre la carriera del pittore e costituisce un aggiornamento approfondito della sua biografia.


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