ALEXEJ JAWLENSKY. Il valore della linea
Alexej von Jawlensky disegnatore in dialogo con Matisse, Hodler e Lehmbruck

Museo Cantonale d'Arte, Lugano (via Canova 10)
29 Settembre 2007– 6 Gennaio 2008
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Per informazioni: tel. 0041.91.9104780

 

 

Per la prima volta in Svizzera una mostra si propone di mettere in luce il significato e il valore del disegno nell’opera di Alexej von Jawlensky (1864-1941). Tra i pionieri della pittura moderna, amico di Paul Klee, Vassilij Kandinskij e Franz Marc, Jawlensky ha lasciato anche un cospicuo corpus di disegni. I nudi, i ritratti di persone a lui vicine e gli autoritratti offrono uno sguardo inedito sulla sua opera, nonché nuove prospettive di studio.

“Il mio mondo è il colore” lascia intendere Alexej von Jawlensky. Il suo raro talento pittorico è stato oggetto di diverse grandi mostre, tra cui quella alla Pinacoteca Comunale di Locarno nel 1989. Resta invece ancora da scoprire la sua poliedrica produzione di disegni, che apre nuove prospettive di studio sulla sua ricerca artistica.

Disegnatore assiduo per tutta la vita, Jawlensky ha dato avvio e posto termine alla sua attività artistica con un disegno. La sua formazione all’Accademia di San Pietroburgo è basata principalmente sulla padronanza delle tecniche del disegno. Anche negli anni di formazione alla scuola di Ilja Repin, allora l’artista più celebrato in Russia, Jawlensky disegna con assiduità. Negli anni 1880-90 realizza una serie di ritratti caratteristici di grande formato – andati distrutti – di contadini russi e anziani. A Monaco, dove frequenta la rinomata scuola di pittura dello sloveno Anton A_be (1896-1899) e conosce Kandinskij, si esercita nel disegno con una serie di lavori a carattere di studio – anch’essi andati in gran parte perduti – che già annunciano il suo marcato interesse per la raffigurazione del volto umano.

Nel 1912 la produzione di disegni conosce uno sviluppo esplosivo. Jawlensky è attivo con successo a Monaco e accanto ai suggestivi dipinti di teste espressioniste realizza anche grandi disegni di nudi, sperimentando le diverse tecniche del disegno quali la matita, l’inchiostro, il gesso e il carboncino. Pur lavorando con modelle, astrae dall’individualità del soggetto e schematizza il corpo e il volto. Con tratti decisi rende il volume dei corpi vigorosi, in posizione di riposo, seduti o distesi. Per mezzo di vibranti tratteggi evidenzia l’andamento del corpo femminile come gioco di volumi e proporzioni, e conferisce ad esso una densità pittorica, animandolo di tensione interiore e mettendolo in relazione dinamica con lo spazio esterno.

Il cospicuo numero di nudi degli anni 1912-13, che accostati uno all’altro generano una visione quasi cinematografica, rivela come Jawlensky avesse posto già allora le basi dell’approccio seriale, che più tardi diventa il modo operativo privilegiato.

Il confronto con i nudi di alcuni artisti particolarmente stimati da Jawlensky, quali Henri Matisse (1869-1954), Ferdinand Hodler (1853-1918) e Wilhelm Lehmbruck (1881-1919), rivela sia interessanti punti di contatto, sia sostanziali differenze.

Nel 1912 Jawlensky realizza anche un ciclo composito di disegni di grande formato dedicato all’amico ballerino Alexander Sacharoff, colto in innumerevoli pose diverse che fissano i movimenti della danza in un preciso istante. Il tema della danza come stimolo per la formulazione di nuove soluzioni sinestetiche è indagato nello stesso periodo anche da altri artisti, con esiti talora assai diversi come dimostrano i disegni e le opere grafiche di Hodler e Matisse presenti in mostra. Le figure di Hodler, elaborate principalmente come studi (1914-17) per l’opera “Floraison”, rimasta incompiuta, esprimono il desiderio di conciliare il movimento del corpo umano con i ritmi della natura. Matisse riserva un ruolo altrettanto importante alla danza: in “La Danse” (1909-10) sviluppa il tema come manifestazione di forze istintive, mentre nel ciclo di litografie delle “Dix danseuses” (1926) raffigura le ballerine in atteggiamento di riposo e attesa. Come meravigliosi fiori, le ballerine e il loro tutù si fondono in un tutt’uno e, nonostante la staticità delle loro pose, sottintendono la potenzialità dei movimenti di danza.

Chi considera Jawlensky unicamente nella prospettiva di un artista introverso e concentrato su questioni spirituali, sbaglia. Egli era capace anche di altri registri, perlomeno nel confronto con la propria immagine: quale caricaturista di se stesso, in alcuni disegni di piccolo formato, si beffa tanto del suo marcato cranio calvo, quanto del suo corpo voluminoso.

Rispetto agli sviluppi maturati nella sua ricerca pittorica, in cui attraverso la stilizzazione del volto in un segno astratto giunge alla formulazione di un’icona moderna, nei suoi disegni Jawlensky rimane solidamente ancorato alla realtà. Nei piccoli ritratti quasi miniaturizzati di soggetti femminili a lui vicini, quali la compagna Marianne von Werefkin, la moglie Helene Nesnakomoff, l’amica e sostenitrice Emmy Sheyer, l’assistente Lisa Kümmel e la collezionista Tony Kirchhoff, Jawlensky si mostra attento a cogliere ogni tratto del modello e a lasciare trasparire con sensibilità lo stato d’animo attraverso l’aspetto esteriore.

La linea svolge un ruolo centrale non solo nei disegni, ma anche nei dipinti di Jawlensky, sia come elemento strutturale o disegno preparatorio, sia come inquadratura dello spazio della rappresentazione. La formulazione simbolica delle “Teste mistiche” (1917-19), dei “Volti del Salvatore” (1917-22) e delle “Teste astratte” (1918-33) si fonda principalmente sullo schema di base della croce. Nelle “Meditazioni” (1934-37), le sue ultime espressioni artistiche, Jawlensky formula il volto divino per mezzo di larghi tratti di colore, che si intersecano in orizzontale e in verticale. In questo senso, i suoi ultimi dipinti possono essere considerati come disegni realizzati con il colore.

Con oltre 60 disegni e opere grafiche, l’esposizione offre per la prima volta uno sguardo approfondito su questa parte della produzione artistica di Jawlensky. Le opere in mostra rivelano un artista dotato di una raffinata sensibilità erotica, di uno spiccato senso dell’umorismo e di una precisione analitica nell’osservazione dei dati ottici.
Gli oltre 40 disegni e opere grafiche di Matisse, Hodler e Lehmbruck posti in dialogo con le opere di Jawlensky approfondiscono e amplificano i temi centrali del nudo, della danza e del ritratto. Una selezione di dipinti delle diverse fasi creative di Jawlensky rende manifesta la centralità della linea anche nelle opere pittoriche.

Il confronto con i disegni di alcuni artisti che Jawlensky conosceva e stimava in particolar modo, quali Henri Matisse, Ferdinand Hodler e Wilhelm Lehmbruck, svela interessanti punti di contatto. La mostra include una selezione di dipinti di Jawlensky, che pongono in risalto la centralità della linea non solo nei disegni, ma anche nelle opere pittoriche – sia come marcato contorno nelle opere fortemente espressive degli anni dieci, sia come impianto lineare o come tratto di colore nella nota serie dei “Volti del Salvatore“ o nelle “Teste astratte“. Le “Meditazioni“ nascono, infatti, da larghi tratti di colore.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, con una prefazione di Angelica Jawlensky Bianconi, curatrice dell’Archivio Jawlensky a Locarno, un’introduzione di Marco Franciolli, direttore del Museo Cantonale d’Arte a Lugano, testi di Angelika Affentranger-Kirchrath, curatrice ospite, Angelica Jawlensky, direttrice Jawlensky Archiv e Gottlieb Leinz, vicedirettore della Stiftung Wilhelm Lehmbruck Museum a Duisburg. Tutte le opere in mostra sono riprodotte nel catalogo. Testi in Italiano e Tedesco.

Cenni biografici
Jawlensky nasce nel 1864 a Torschok (Russia). Nel 1896 si stabilisce a Monaco di Baviera per studiare da Anton Azbe. A Monaco conosce Kandinsky. Nel 1909 è tra i fondatori della „Neue Künstlervereinigung München“ (Nuova Associazione degli artisti di Monaco). Allo scoppio della guerra trova rifugio in Svizzera. Vive a St. Prex (Lago Lemano), Zurigo e Ascona. Nel 1921 si trasferisce a Wiesbaden dove muore nel 1941.