KENGO KUMA. SELECTED WORK 1994-2004

Como, Salone San Francesco
6 - 27 marzo 2007

La mostra Kengo Kuma. Selected work 1994 – 2004 giunge a Como, dopo una serie di tappe iniziate a Siracusa nel 2005, direttamente dall’Arkitekturmuseet Skeppsholmen di Stoccolma, su iniziativa dell’Ordine degli Architetti P.P.C. ed il Collegio delle Imprese Edili di Como, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Como e la Camera di Commercio e con il sostegno di Rimadesio SpA di Giussano e Porro Industria Mobili di Montesolaro.

Prima monografica itinerante allestita in Italia sull’opera del maestro giapponese Kengo Kuma, la rassegna è curata da Luigi Alini, architetto e ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Siracusa e l'autore della monografia Kengo Kuma. Opere e progetti, pubblicata da Mondadori Electa nella collana ‘Documenti di Architettura’.
La mostra privilegia come ambito di indagine le relazioni tra ideazione e costruzione, materia e forma, aspetti che nell’opera di Kuma sono intimamente connessi.
Il lavoro di Kuma è indagato attraverso sei esempi di intervento compiuti tra 2000 e 2002 in Giappone e Cina: il Museum of Hiroshige Ando, Batou, Nasu-gun, Tochigi; il Takayanagi Community Center, Takayanagi, Kariwa-gun, Niigata; il Nasu History Museum, Nasu, Tochigi; il Great Bamboo Wall, Pechino; la Plastic House, Meguro, Tokyo; l’ Adobe Museum for Wooden Buddha, Toyoura, Yamaguchi.
Il materiale presentato punta illustrare, di queste opere, i vari momenti di maturazione (genesi, gestazione e nascita) fino a far emergere quello che è dietro l’architettura e che la rende possibile, il "non visto", la fatica quotidiana del fare, il ‘lavoro paziente’ che Kuma compie sulla materia per farla divenire costruzione, materia formata.

L’allestimento della mostra, progettato dallo stesso Kuma, è costituito da sei box, che fungono sia da strutture espositive sia da ‘contenitori’ per il trasferimento della mostra nelle altre sedi. I box, tutti diversi tra loro, sono realizzati con gli stessi materiali impiegati nella costruzione delle opere esposte. Questa scelta è tesa a rendere ancor più evidente, anche dal punto di vista tattile, il ‘principio generativo’ delle opere. Le architetture sono presentate in relazione ad alcuni ‘temi radice’, che costituiscono delle "invarianti" nell’opera di Kengo Kuma: natura/artificio; luce/ombra, semplice/com-plesso, opaco/trasparente, provvisorio/permanente, massivo/leggero, superficie/profondità, univoco/mol-teplice, trama/ordito, continuo/discontinuo, ripetizione/variazione, alto/basso. Ricorrendo ad una sorta di ‘sistema retorico’, Kuma annulla ogni contraddizione: la costruzione si fa narrazione e l’unità è generata dalla ripetizione della parte. Un modo di operare assimilabile proprio alla natura retorica del linguaggio, inteso come luogo della ‘molteplicità interrogativa’, luogo delle differenze a confronto. I box sono composti di parti fisse e parti mobili: aprendo cassetti, facendo scorrere e ribaltando piani è possibile ‘svelare’ ciò che essi contengono: grafici di progetto, plastici di studio, schizzi, foto delle fasi costruttive.

Kengo Kuma persegue una realtà multiforme, molteplice, sfuggente, dalle mille sfumature. La mostra è costruita in modo da sollecitare il fruitore a ‘scoprire’ una realtà più vasta, ad andare oltre quello che appare in superficie, ad agire sui significati che entrano nella ‘costruzione delle forme’. In questo senso, cogliere la profondità del lavoro di Kuma significa assumere un punto di vista interno all’immagine, spostare lo sguardo dall’immagine alla sua ‘impronta’, fino a far emergere un’interpretazione più ampia dei significati attribuibili al "fare", alla tecnica, alla materia e al modo in cui Kuma la utilizza, ‘la piega’: il principio generativo attraverso il quale ci fa cogliere la natura arcaica dell’architettura, l’esistenza di strutture di significato stabili. Perché, come testimoniano anche la denominazione delle opere, Plastic House, Adobe Museum, Stone Museum, Great Bamboo Wall più che indicare un’opera rinviano ad un principio generativo, ad una ricerca figurativa esercitata sulle possibilità espressive della materia, che nel lavoro di Kengo Kuma rende evidente la dialettica tra il ‘già stato’ e il ‘non ancora’.

La mostra è completata dalla presenza di un prototipo in scala 1:1 del Padiglione Oribe, recente opera del maestro Kuma realizzata interamente in policarbonato alveolare. La costruzione del Padiglione, significativo esempio di “architettura effimera”, è il risultato di una sperimentazione condotta in ambito didattico dal curatore della mostra Luigi Alini insieme al prof. Massimo Perriccioli dell’Università di Camerino. L’idea di ricostruire il Padiglione, come ha dichiarato il prof. Alini, nasce con l’obiettivo di verificare la possibilità di trasferire nella didattica le possibili connessioni tra ricerca, formazione e professione: «per la costruzione di quest’opera un sostegno importante è stato fornito dal mondo delle produzione industriale ed in particolare da Bayer Sheet Europe, Targetti Sankey, Sediver spa. Le aziende oltre a fornire il necessario supporto tecnico hanno messo a disposizione il loro know-how per lo sviluppo di specifiche soluzioni costruttive frutto della interazione e della integrazione delle diverse necessità in gioco, cosa che ci ha permesso di sviluppare e mettere a punto insieme a Kuma soluzioni che costituiscono delle ‘forme adattive’ rispetto a quelle utilizzate nel progetto originario. In questo senso ne sono una testimonianza evidente sia la soluzione della pedana sia quella del sistema di illuminazione, per così dire, dinamico: una sorta di ‘respiro’ che ha finito con l’animare quest’opera di vita propria. Un’opera la cui immagine ha una potenza dirompente, una forza che trascende il suo significato specifico e che parafrasando Warburg potremmo definire come una immagine che ha memoria del futuro».

La mostra, che si inaugura martedì 6 marzo, resterà aperta al pubblico fino al 27 marzo tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle ore 11 alle 20. È accompagnata dalla monografia edita da Mondadori/Electa a cura di Luigi Alini, che, attraverso una selezione di 21 opere realizzate nel decennio 1994–2004, ripercorre dell’opera di Kengo Kuma il passaggio da una posizione permeata dall’idea di ‘caos’ ad una in cui l’architettura si ‘dissolve’ come oggetto e diventa parte integrante del sistema ambientale. Il ‘progetto radice’ di quest’evoluzione è individuato nel Kiro-san Observatory ad Ehime, progetto col quale Kuma avvia una rielaborazione del passato non come esperienza retrospettiva ma come attività speculativa.
Lo spostamento di prospettiva si compie a partire dagli anni ’90: la sua ricerca punta alla ‘deterritorializzazione concettuale’ e le opere assumono una diversa connotazione; oltre ad essere una risposta formale ad una necessità funzionale rinviano alla ricerca di una “intima percezione delle cose”.

Kengo Kuma (Kanagawa, 1954) si laurea alla Graduate School of Engineering dell’università di Tokyo nel 1979 e nel biennio 1985-86 continua gli studi a New York, alla Columbia University e all’Asian Cultural Council. L’anno seguente fonda lo Spatial Design Studio e nel 1990 il Kengo Kuma & Associates; negli anni 1998-99 è professore alla Faculty of Environmental Information presso la Keio University. Tra i suoi edifici ricordiamo: l’osservatorio Kiro (Ehime, 1994), la villa Water/Glass (Shizuoka, 1995), il Noh Stage in the Forest (Miyagi, 1996), l’Awaji Service Area (Hyogo, 1998), il centro culturale Hayama (Kanagawa, 1999), il museo Hiroshige Ando a Batou (Tochigi, 2000), il museo della pietra a Nasu (Tochigi, 2000), il museo storico di Nasu (Tochigi, 2000), il ristorante Sea/ Filter a Onoda (Yamaguchi, 2001), le terme di Ginzan (Obanazawa, Yamagata, 2001), la Plastic House (Tokyo, 2002), il ristorante Soba a Togakushi (Nagano, 2003), l’università dell’agricoltura di Tokyo (2004). Kuma ha partecipato a varie mostre in Giappone e in tutto il mondo (Triennale, Milano, 1996; Riba Gallery One, Londra, 1996; Biennale, Venezia, 1995 e 2000, Archi Lab, Orléans, 2000).

La mostra Kengo Kuma. Selected work 1994 – 2004 è patrocinata da: Università degli Studi di Catania, Facoltà di Architettura - Provincia Regionale di Siracusa - Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica - Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Ministero degli Affari Esteri - Regione Sicilia - Japan Foundation.
Sposor tecnici: TARGETTI - SEDIVER SPA - BAYER SHEET EUROPE