MARIO NIGRO. GLI SPAZI DEL COLORE
|
Arriva a Locarno, presso la FONDAZIONE GHISLA ART COLLECTION, l’importante retrospettiva antologica su Mario Nigro (Pistoia 1917 - Livorno 1992), uno dei protagonisti dell’arte italiana della seconda metà del ’900, organizzata in collaborazione con la Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca e con l’Archivio Mario Nigro in occasione del centenario della nascita dell’artista.
La rassegna, curata da Paolo Bolpagni e Francesca Pola, giànel titolo – Mario Nigro. Gli spazi del colore – sottolinea due aspetti fondanti dell’opera dell’artista, peraltro ampiamente rappresentati in un lavoro significativo di Nigro, Spazio totale del 1953, presente fra i capolavori della Collezione Ghisla.
Mario Nigro si situa nell’ambito dell’arte astratta in modo del tutto personale, a partire dalla fine degli anni Quaranta, con opere che guardano ai maestri delle avanguardie storiche (Kandinsky, Klee, Mondrian) coniugando sollecitazioni di matrice più lirica con un uso rigoroso della geometria, per giungere nei primi anni Cinquanta alla definizione del suo primo grande ciclo compiuto, quello dello “spazio totale”, in cui struttura e colore dialogano in modo continuo, generando intensi dinamismi.
Attraverso le 35 opere che costituiscono la mostra appare chiaro l’impegno di Nigro ad indagare il rapporto dell’uomo con lo spazio, inteso come luogo del divenire, luogo entro cui, nel tempo, l’azione si compie. Nelle fasce pittoriche vettoriali delle opere di “spazio totale”, che lasciano campo alla libertà dei segni grafici che si intrecciano a formare reti e reticoli o a costruire forme vibranti che agiscono a raggiera, si riconosce questo suo intento che volge alla essenzialità.
In questo percorso, l’artista raggiunge prima una liberazione dalla rete di segni creando scansioni di segmenti obliqui tra loro paralleli che, per righe successive, riempiono il piano o la figura geometrica nelle progressioni del suo “tempo totale”; arriva poi alla massima semplificazione nelle opere dedicate alla “analisi della linea”, in seguito spezzata a mimare il tracciato di un lampo o la fessurazione del suolo a seguito di un terremoto (da qui la denominazione del ciclo dei “terremoti”) per giungere agli “orizzonti” dove un tratto orizzontale è l’unico elemento di narrazione.
Siamo alla fine degli anni Ottanta quando Nigro riprende un uso espressivo del colore, con opere in cui le pennellate per lo più orizzontali prendono densità e diventano fortemente incisive, quasi l’artista intenda partecipare ai drammatici rivolgimenti della storia con un suo canto drammatico (un ciclo è fatto di “dipinti satanici”) al colore, che, forzato con la gestualità dei segni, sembra diventare unico protagonista della sua pittura.
Poi tutto si placa con le “meditazioni” fatte di un pacato disporre di rettangoli di colori che si rarefanno nel tempo e con le “strutture” in cui i rettangoli sono costituiti da segni puramente cromatici, che danno nuova sostanza allo spazio.
Per comprendere meglio l’artista non possiamo dimenticare che il variare della sua poetica era conseguenza diretta dell’attenzione che poneva al mondo reale, alle situazioni sociali, agli eventi, ai cambiamenti, alle persone, a se stesso. Una pittura quindi non avulsa dal tempo, come potrebbe essere ritenuta l’arte astratta, ma ben immersa dentro la storia.
La rilevanza internazionale della produzione di Mario Nigro ha suscitato, per l’attualità della sua visione creativa, un crescente interesse del sistema dell’arte nelle sue varie componenti, dalle istituzioni al collezionismo, in particolare nel corso dell’ultimo decennio.
Accompagna la mostra un’ampia monografia in italiano e in inglese pubblicata dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’Arte con testi dei curatori Paolo Bolpagni e Francesca Pola e di Mattia Patti.
Mario Nigro. Nota biografica
Mario Nigro nasce a Pistoia il 28 giugno 1917. Fin dall’età di cinque anni si dedica allo studio del violino e del pianoforte. Nel 1929 la famiglia si trasferisce a Livorno, dove dal 1933 Nigro, ormai sedicenne, si avvicina alla pittura come autodidatta. Parallelamente alla passione per l’arte, persegue gli studi scientifici e nel 1941 si laurea in Chimica all’Università di Pisa, dove diviene assistente incaricato all’Istituto di Mineralogia. Nel 1947 consegue anche una seconda laurea, in Farmacia, e l’anno successivo è nominato farmacista agli Spedali Riuniti di Livorno.
Tra il 1946 e il 1947 la sua pittura giunge a una formulazione non-oggettiva. La visita alla Biennale di Venezia del 1948 è l’opportunità per accertare la consonanza di temi e interessi relativi alla nuova ricerca astrattista. Nel 1949, anno in cui nasce il figlio Gianni, l’artista tiene una mostra personale alla Libreria Salto a Milano, circostanza in cui ha modo di conoscere Lucio Fontana e di entrare in contatto con l’ambiente del M.A.C. (Movimento Arte Concreta). Il lavoro di questi anni trova un immediato consenso in ambiente internazionale, come testimonia l’invito ai Salon des Réalités Nouvelles di Parigi del 1951 e del 1952. In Italia partecipa alle più importanti mostre del M.A.C. Movimento Arte Concreta.
Nel 1952 Nigro aderisce all’associazione romana dell’Art Club, partecipando alla sua attività espositiva per alcuni anni, e in qualità di socio corrispondente dalla Toscana apre una sezione livornese.
Sul finire del 1952 prendono forma le prime opere appartenenti al ciclo “spazio totale”. Questa ricerca si sviluppa nel corso di tutto il decennio ed è sistematizzata anche a livello teorico con l’elaborazione di scritti pubblicati tra il 1954 ed il 1955.
Il 1956 vede nelle sue opere l’acuirsi della tensione drammatica di matrice espressiva, risoluzione fortemente legata alle vicende coeve, e in particolare all’invasione dell’Ungheria da parte delle armate sovietiche. Tale avvenimento crea nell’artista, da sempre intimamente coinvolto nei fatti politici e sociali contemporanei, una crisi delle proprie scelte ideologiche.
Tra il 1958 e il 1959 Nigro decide di abbandonare l’attività di farmacista e si trasferisce a Milano per dedicarsi definitivamente soltanto alla pittura.
Nonostante un grave incidente d’auto, avvenuto nel 1960, causi un temporaneo allontanamento dall’attività artistica, nel 1961 è invitato a partecipare al Premio Morgan’s Paint e nel 1964, grazie all’interessamento di Lucio Fontana, è presente per la prima volta alla Biennale di Venezia con il suo ciclo dei “collage vibratili”, e vi ritorna con una sala personale nel 1968.
Nel decennio tra il 1965 e il 1975 l’artista inizia a sviluppare realizzazioni di scala ambientale e, dalla seconda metà degli anni Sessanta, dà avvio alle proiezioni prospettiche progressive minimali del nuovo ciclo denominato “tempo totale”.
Dall’inizio degli anni Settanta le opere si focalizzano sempre più sui principi elementari: la linea e il colore. Parallelamente Nigro è presente in numerose occasioni espositive sia in Italia sia all’estero, dove nel 1971 tiene la prima mostra personale in Germania. Nel 1973 partecipa alla X Quadriennale di Roma; nel 1978 presenta alla Biennale di Venezia l’opera Ettore e Andromaca, in dieci elementi. Nel 1979 è il primo artista italiano presente con una grande mostra personale al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano. Nel 1982 presenta alla Biennale di Venezia l’opera Emarginazione. Nel 1984 il Comune di Pistoia gli dedica una grande antologica.
Nella seconda metà degli anni Ottanta l’espressività delle opere diviene sempre più accesa nelle serie dei “ritratti” e dei “dipinti satanici”, ispirati alla condanna alla fatwa del libro The Satanic Verses di Salman Rushdie da parte di Khomeini. All’inizio degli anni Novanta continua la sua ricerca con la serie delle “meditazioni” e delle “strutture”.
Mario Nigro muore a Livorno l’11 agosto 1992. Nello stesso anno gli viene conferito, postumo, a Zurigo il Camille Graeser-Preis (Nigro è unico artista italiano ad averlo ricevuto); nel 1994 viene inaugurata la mostra antologica Mario Nigro. Retrospektive. Die konstruierte Linie von 1947 bis 1992. La linea costruita dal 1947 al 1992, presso il Wilhelm-Hack-Museum und Kunstverein di Ludwigshafen am Rhein e il Quadrat Bottrop Josef Albers Museum a Bottrop, ultima esposizioneche l’artista aveva collaborato a ideare mentre era ancora in vita.
LA FONDAZIONE
La Fondazione Ghisla Art Collection, ente senza scopo di lucro, è stata istituita nell’aprile del 2014, con l’intento di mettere a disposizione della collettività un patrimonio artistico di valore internazionale, per essere condiviso da tutti coloro che riconoscono nell’arte una ricchezza indelebile.
La collezione è stata creata dai coniugi Ghisla, spinti da una crescente ed eclettica passione per l’espressività artistica. La sua sede occupa uno stabile di fattura futuristica, appena realizzato su progetto dello studio d’architettura Moro & Moro di Locarno e si trova nel centro città, a pochi metri dal porto turistico. Approfondimento del progetto redatto dall’architetto Moro.
Le opere della Fondazione Ghisla sono collocate in otto sale distribuite su tre piani. La loro sistemazione non è determinata dal rigore cronologico o dalla suddivisione per i movimenti e le tendenze che hanno caratterizzato l’arte della seconda metà del Novecento fino ai nostri giorni. Chi entra in questi spazi si immerge nel gusto di Pierino e Martine Ghisla che nel corso degli ultimi trent’anni hanno raccolto capolavori assoluti della Pop Art, dell’Informale, del Concettuale, dell’Astrattismo, del New Dada…, a cui si aggiungono prove di autori emergenti e forse meno conosciuti dal grande pubblico.
I coniugi Ghisla si sono comportati come se dovessero accogliere degli ospiti a casa propria. Pertanto nella prima sala si trovano un’opera di Angelo Musco colloquiare con un lavoro di Shirley Jaffe. Nella seconda l’arte povera di Jannis Kounellis dialoga con un lavoro di Christian Boltansky. La terza sala è dedicata al confronto fra artisti americani come Basquiat, Wesselmann, Twombly, Lichtenstein e altri ancona, mentre la quarta è consacrata ai grandi maestri dagli anni quaranta in poi come Magritte, Miró, Picasso, Botero, Vasarely, Dubuffet, e altri. Nella quinta si trovano inoltre esposti i maestri che hanno segnato l’arte italiana degli ultimi cinquant’anni, come Fontana, Bonalumi, Castellani, Pistoletto, Boetti…
Il terzo piano è interamente dedicato alle mostre temporanee (due ogni anno) che propongono opere esterne alla collezione Ghisla e completano di fatto l’offerta espositiva.
LE ATTIVITÀ
Tenendo fede alla sua primaria missione di condivisione artistica, la Fondazione Ghisla Art Collection, organizza all’interno dei suoi spazi diverse attività che sempre ispirate e legate alle opere in esposizione, spaziano dalla danza alla musica. Durante la stagione di apertura, da marzo a dicembre, si può così assistere a performance di danza e concerti che si fondono per intenti ai lavori dei più grandi maestri dell’arte contemporanea. Particolare attenzione viene inoltre data alla mediazione culturale con i bambini e le scuole, per le quali sono disponibili diversi programmi didattici adattabili alle esigenze di età e curriculum di studio. Interessante e di complemento alla visita è il sistema di audioguide compreso nel prezzo d’entrata, che in italiano, tedesco, inglese e francese fornisce al visitatore un importante e ben strutturato supporto didattico.
Vi è inoltre la possibilità di organizzare delle visite guidate su appuntamento e in 4 lingue. Molto apprezzate sono quelle seguite dal signor Ghisla in persona, che con molta disponibilità e passione si mette spesso e volentieri a disposizione per raccontare le opere con gli occhi del collezionista.
L’EDIFICIO
La conversione dell’edificio degli anni ‘40 in spazio espositivo ha determinato la chiusura di tutte le finestre e il rivestimento continuo delle facciate con un involucro isolante ventilato.
All’interno una parete leggera lungo tutto il perimetro costituisce il supporto espositivo creando un’intercapedine per l’impiantistica e per l’integrazione degli apparecchi di convenzione climatica. L’eliminazione delle pareti interne non portanti ha consentito di ottenere tre grandi spazi espositivi ad ogni piano.
La chiusura totale verso l’esterno ha determinato la concezione architettonica del prisma essenziale, ritrovato con l’eliminazione della gronda e l’integrazione del tetto a falde. Conseguentemente la nuova pelle costituita dallo strato isolante nero con la sovrapposizione della maglia d’alluminio rossa con tessitura irregolare, produce un effetto cromatico che evolve secondo l’inclinazione solare. Il prisma rosso nel gioco cangiante della luce assume una inconsistenza eterea, fluttuante sul canale d’acqua che lo circoscrive richiamando la natura lacustre del luogo.
L’unica apertura esterna costituisce l’ingresso raggiungibile con il ponte grigliato che dalla panchina lungo il marciapiede attraversa il canale per immettersi nell’imbuto nero.
La nuova connotazione architettonica corrisponde alla funzione culturale della galleria affacciata sui Giardini Rusca nel cuore urbano della città.