A FIOR DI PELLE. Il calco dal vero nel secolo XIX

15 settembre - 17 novembre 2002

Museo Vela, Ligornetto (Svizzera)

La mostra A fior di pelle. Il calco dal vero nel secolo XIX che approda a Ligornetto dopo le tappe di Parigi, Leeds e Amburgo, presenta, attraverso un'ampia selezione di opere in cera e in gesso, nonché di dipinti e di opere di grafica - molte delle quali esposte per la prima volta - la tecnica del calco dal vero nel XIX secolo, privilegiando l'impronta sul vivo.

La pratica del calco dal vero è largamente diffusa nel XIX secolo, periodo in cui essa intrattiene dei legami particolari con l'arte e la scienza. L'esposizione non si limita alla presentazione di calchi relativi al mondo dell'arte, ma propone calchi etnografici, medici, zoologici e botanici che costituiscono un panorama variegato di questa tecnica sia a livello privato che pubblico.
Il calco dal vero legato al culto della memoria incontrò un certo favore negli ambienti borghesi per tramite delle maschere, prese sul vivo o mortuarie, dei calchi di mani d'artisti, di celebrità politiche, letterarie o mondane, come la contessa di Castiglione. Più modeste testimonianze di affezione si accumularono talvolta nelle wunderkammer, per formare degli autentici reliquiari laici. Procedimento consueto dello scultore, pezzo di documentazione o ricordo affettivo, il calco dal vero, grazie alla sua riproduzione perfetta della realtà, ha molto presto sollevato delle vive polemiche nel corso del secolo. Per Baudelaire, "lo scopo della scultura non è di rivaleggiare con dei calchi", quanto a Rodin, "copiare strettamente la natura non è lo scopo dell'arte. Un calco dal vero è la copia più esatta che si possa ottenere, ma è senza vita, non ha né il movimento, né l'eloquenza, non dice tutto". Il maestro del realismo francese, Jules Dalou, ha perfettamente riassunto nei suoi appunti personali il sentimento comunemente condiviso a proposito del calco dal vero: "Né il calco dal vero né la fotografia sono e saranno mai arte. Questa esiste soltanto attraverso l'interpretazione della natura, qualunque essa sia, d'altronde [...] è lo spirito della natura che occorre trovare secondo i modi e le esigenze del soggetto, e anche del tempo. Ma sforzarsi di renderne strettamente la lettera è un errore grossolano" Oggi certi calchi del XIX secolo continuano a sorprendere per la freschezza e vivacità delle pose del modello, sovente femminile, e per la libertà e l'invenzione delle "inquadrature" scelte dal formatore. Di grande qualità sono in particolare i calchi di Geoffroy-Dechaume e di Vela - molti dei quali in mostra - facenti parte dei nuclei forse più importanti di calchi dal vero ottocenteschi conservati ad oggi.L'accusa, fondata o meno, di utilizzare nelle proprie opere calchi dal vero, estremo insulto alla creatività dell'artista, ha scandito la storia della scultura della seconda metà del XIX secolo. Questa polemica sorge a più riprese a proposito di ogni opera la cui fedeltà al reale oltrepassa i limiti della tradizione accademica; lo scultore è allora sospettato di includere direttamente frammenti di cui ha eseguito il calco nella composizione della sua opera. Se alcuni artisti sono denunciati a giusto titolo, come Clésinger per la Donna morsa da un serpente (1847) o Falguière per Cléo de Mérode (1896), altri furono accusati di ciò a torto, ad esempio Rodin per L'età del bronzo (1877) o il Vela per La preghiera del mattino (1846) e lo Spartaco (1850). Queste lamentele sottolineano anche le violente reazioni di una parte della critica di fronte alla generalizzazione dell'illusionismo in scultura, che conosce il suo apogeo nel corso degli anni Ottanta. Se la tecnica del calco dal vero raggiunge gli obiettivi del realismo in scultura, essa sconfina parimenti nel campo della rappresentazione e dell'appropriazione del corpo umano o dei suoi frammenti, appropriazioni che alcune discipline - scientifiche o considerate allora come tali - hanno provveduto a sistematizzare nel corso del XIX secolo con un fine didattico. A partire dagli anni 1840, per l'insegnamento o lo studio, frenologi, antropologi, medici, botanici, zoologi... prendono dei calchi e procedono a una quantità di impronte, come testimonia la collezione di patologie dermatologiche del museo dell'Hôpital Saint-Louis, la collezione di legumi riprodotti tramite calco e dipinti al naturale dalla maison Vilmorin o le spettacolari impronte policrome di champignon riuniti al Museum d'Histoire naturelle di Nizza dal naturalista Jean-Baptiste Barla tra il 1855 e il 1895.
La tecnica del calco fu, in questi ambiti, largamente impiegata, confermando la sola destinazione (come documento di lavoro) che ad essa concedevano i critici d'arte e gli scultori sospettosi.La mostra che si compone di circa 80 pezzi, di cui una decina di Vincenzo Vela riconducibili ad opere dello scultore in mostra permanente, comprende lavori e calchi provenienti da importanti musei, fra i quali il Musée d'Orsay, il musée Rodin, la National Portrait Gallery di Londra, il Musée des Monuments français e il Musée Gustave Moreau.

Accompagnano la mostra un catalogo in francese edito della Réunion des Musées Nationaux e una brochure in italiano con la traduzione del saggio principale di Edouard Papet.