PAOLO MINOLI. Canzone Veneziana
Milano, Castello Sforzesco – Sala dei Pilastri
25 febbraio – 17 aprile 2005

Le Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano dedicano una mostra a Paolo Minoli, artista nato a Cantù nel 1942 e scomparso nel dicembre dello scorso anno, presentando la recente donazione della sua opera “Canzone veneziana. Due movimenti in quattro tempi e una pausa”. In mostra anche due disegni preparatori.
L’esposizione si inserisce nel ciclo Mostre dossier “Tra anniversari e donazioni”, un’iniziativa del Comune di Milano, realizzata dalle Civiche Raccolte d’Arte del Castello, per far conoscere le opere delle collezioni civiche, attraverso la celebrazione di anniversari e donazioni.

Nell’ambito della mostra è previsto per martedì 8 marzo, alle ore 17, nella sala dei Pilastri del Castello Sforzesco, un incontro dal titolo Paolo Minoli. Canzone veneziana, con un intervento di Claudio Cerritelli, critico e storico dell’arte che ha particolarmente seguito l’attività di Minoli in questi ultimi anni.

L’opera donata alla città di Milano
“Canzone veneziana. Due movimenti in quattro tempi e una pausa”, un dittico acrilico su tela del 1999 (cm 90x180; 90x180), è un omaggio a Ezra Pound.
Come evidenziato dal critico Claudio Cerritelli, l’opera si inserisce in un ciclo di ricerche che Paolo Minoli ha dedicato al rapporto tra arte e poesia, alle relazioni tra il linguaggio della pittura e il canto dei poeti, dove i versi diventano equivalenze percettive,. Dialogando idealmente con lo stato d’animo di Ezra Pound nel suo soggiorno veneziano, l’artista affida alle pulsazioni ritmiche del colore le tensioni visive dell’immagine poetica. (Per esempio nei Canti Pisani: “accanto ai pilastri lisci come sapone dove San Vio/ incontra il canal Grande/ tra Salviati e la casa che fu di Don Carlos/ butterò tutto nell’acqua/ le bozze di “A lume spento”).
Il rapporto con la poesia non è effusione letteraria e neppure trascrizione, è piuttosto costruzione pittorica tesa a suggerire sottili corrispondenze tra il ritmo dei colori e quello dei versi attraverso la metafora musicale.
È soprattutto nella metafora dell’acqua che Minoli riconosce lo spazio ideale della sua inquietudine, attraverso variazioni spazio-temporali che amplificano la struttura compositiva dell’opera stimolando l’occhio del lettore con percorsi ritmici che giocano sulla diversa intensità luminosità dei segni e delle loro componenti cromatiche.
La superficie pittorica è progettata come specchio magico dove l’occhio segue i riflessi della mente, i colori diventano suoni che trascorrono mutevoli sull’acqua, evocando lo spazio melodico secondo tempi e pause necessarie all’equilibrio armonico delle diverse componenti. Il corpo della pittura è una continua verifica di suoni interiori, di estensioni sensoriali che trasformano l’atto di guardare in una esperienza aperta alla totalità.
In questo senso l’arte di Minoli si avvale di un insieme rigoroso di schemi percettivi che si moltiplicano all’infinito, il carattere scientifico della sua progettualità cromatica è solo un metodo per inventare percorsi che vanno oltre la visione conosciuta, non esiste infatti regola percettiva che non si trasformi in un dialogo con la luce, con gli effetti imprevedibili generati dai dinamismi del colore.
Ed è nell’appassionante verifica di queste problematiche che l’arte di Minoli è un campo di relazioni che si irradiano nel tempo giocando su livelli immaginativi sempre diversi, dove il peso dell’emozione gioca un ruolo non marginale. Le tecniche sono mezzi per fissare fantasmi percettivi che stanno negli aspetti più reconditi dell’evento percettivo, non tanto nelle soluzioni auto-referenziali quanto nelle nuove ipotesi di comunicazione. Il progetto è già in se stesso opera, e l’opera sta nell’atto stesso del vedere come capacità d’inventare nuovi modi di leggere il colore, di sentire la qualità delle forme, di concepire il territorio dell’arte come progetto in continua mutazione.